Sarebbe facile da raccontare, e invece no.
Per me il Natale è sempre stato la famiglia: le feste a casa dei nonni, i pranzi da mia zia con l’infinita schiera di cugini, i profumi dei dolci che si diffondevano tra le strade del paese. Sono stata fortunata: quando sono nata avevo ben sette nonni e bisnonni, e fino ai miei sette anni la loro presenza ha riempito ogni ricordo.
Il Natale, nella mia storia, non è mai stato il momento di scartare i regali sotto l’albero, ma l’occasione per stare insieme. Momenti semplici, pieni di affetto, cura, attenzioni. Una famiglia non perfetta, ma unita. Non ricca, ma vera. Una famiglia dove rispetto e amore non mancavano mai.
Per me il Natale è sempre stato una magia calda e buona, fatta di gesti e presenze che scaldano il cuore.
Poi penso ai bambini e ai ragazzi che ho incontrato nella mia storia di affido.
E allora mi chiedo: che cos’è il Natale per loro?
Per alcuni è un ricordo bello, custodito in un angolo tenero della memoria.
Per altri è un cassetto che, quando si apre, rilascia un sapore amaro: una lite grande, promesse non mantenute, una tavola vuota davanti a regali luccicanti.
Natali fatti di carte da strappare e oggetti nuovi che si accumulano senza essere mai davvero desiderati, usati forse per coprire mancanze e assenze più profonde.
La voglia di stare in famiglia ce l’hanno tutti nel cuore. Ma quale famiglia?
Quella di una mamma che non riesce nemmeno ad alzarsi dal letto, e allora il pranzo di Natale è identico a quello di un giorno qualunque.
Quella di un papà che prova, prova davvero, ma non basta.
Quella dove l’affetto c’è, ma manca la stabilità dei gesti quotidiani di cura.
Quella dove ogni momento bello può essere interrotto dall’ennesima lite, dalle sirene, dalla paura.
Oppure la famiglia in cui si trovano ora: quella che li accoglie, li accompagna, li ospita in un tempo di transizione. Una famiglia che imparano a chiamare “casa” senza smettere di amare la propria.
Il Natale — come i compleanni, come tutte le grandi feste — è un’esplosione di gioia per chi è cresciuto in una certa normalità.
Ma per chi ha conosciuto ferite, interruzioni, distacchi e mancanze, il Natale può essere una festa che dilania: gioia e dolore insieme, desiderio e paura, gratitudine e nostalgia.
È una festa che mette in luce la fragilità di chi non rientra negli standard, di chi porta una storia più pesante della sua età.
Per me il Natale è abbracci, cura, presenza.
Per chi vive con me in affido, a volte, può sembrare solo un regalo da scartare… o forse no.
Perché affinché il Natale sia autentico, devo tenere insieme due realtà:
il mio Natale — fatto di semplicità, cura, gioco, condivisione —
e il loro Natale, fatto di memorie complesse, scintille di luce e nuvole di tristezza.
Il compito è accogliere tutto: validare le loro piccole gioie, contenere le loro ombre, offrire un luogo in cui il Natale non sia una ferita, ma una possibilità.
Una possibilità di sentire che, anche dentro un cuore che ha conosciuto tanto, può nascere qualcosa di nuovo.
Buon Natale.
A chi è in cammino, a chi accoglie, a chi si lascia accogliere.
Daniela Notarangelo
Mamma affidataria
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